martedì 21 agosto 2012

Produzione e distribuzione della ricchezza nel mondo antico - Parte 4

Questo post in più parti è una traduzione commentata di alcuni brani del saggio di Michael Hudson History Of Debt And Property From The Ancient East .

Origini dell'impresa produttiva commerciale nel Vicino Oriente antico

Le ricerce antropologiche hanno evidenziato che l'idea che un individuo si preoccupasse del proprio guadagno era estranea alle comunità primitive. Le ragioni della coesione del gruppo erano molto più forti della prospettiva di ottenere benefici. Il commercio primitivo, specie all'interno delle comunità, si muoveva quindi con obiettivi sociali più che economici.

Il commercio si estende indietro in profondità nel Paleolitico, ma la moderna esperienza tribale e la logica suggeriscono che il commercio più arcaico probabilmente si è verificato tramite il reciproco scambio di doni, il cui scopo primario era quello di promuovere la coesione tra i membri della comunità e le relazioni pacifiche tra i capi delle tribù vicine. (Mauss The Gift [1925] è lo studio paradigmatico in questo senso.) Gli studi antropologici hanno documentato come l'atteggiamento tipico in comunità che vivono ai limiti dei livelli di sussistenza è il sospetto che la ricerca individuale di ricchezze tenda a realizzare guadagni a spese degli altri.

La scarsità del surplus prodotto rendeva estramemente facile dovere dipendere dal soccorso altrui anche per le più piccole difficoltà, come una malattia o la perdita di un raccolto.
Se ogni debito avesse dovuto essere ripagato, anche a costo di perdere i pochi mezzi di sussistenza, la schiavitù sarebbe stata endemica. Le istituzioni primitive di norma impedivano il pignoramento dei mezzi di sussistenza.

I valori sociali tradizionali, pertanto impongono sanzioni contro l'accumulazione di ricchezza personale. Il surplus economico è così piccolo che realizzare un profitto o estrarre interessi spingerebbe le famiglie alla dipendenza da patroni o alla servitù verso i creditori. L'obiettivo fondamentale di sopravvivenza esige che le comunità salvino i loro cittadini dallo scendere al di sotto del livello di sussistenza più che temporaneamente. Nell'antichità, ad esempio, la perdita dei diritti sulla terra significava perdere lo status di cittadino, e quindi la propria posizione militare, lasciando la comunità più esposta alla conquista da parte di nemici.

Quando le condizioni favorevoli consentivano di realizzare un surplus il suo utilizzo doveva andare a beneficio di tutta la comunità.

Il risultato è che mentre anche le economie a basso surplus di solito producono qualche eccedenza, la correttezza arcaica impone che questa sia consumata, in modo pubblico e con scambio di doni, provvedendo a feste per i riti più importanti di passaggio (entrata nella età adulta, matrimonio e funerali), o sia sepolta con i morti. Lo status in tali condizioni è ottenuto regalando la propria ricchezza, non accaparrandola o reinvestendola. Rimase a lungo culturalmente più accettabile consumare il surplus economico in feste pubbliche, dedicarlo agli antenati e, col tempo, finanziare la costruzione di templi e di altre strutture monumentali.

In una comunità primitiva quindi non è semplice potere utilizzare il surplus prodotto per finalità il cui beneficiario non sia identificabile con immediatezza nella comunità stessa. Solo il capo, fungendo da rappresentante degli interessi comuni, può in determinate circostanze, disporre con relativa arbitrarietà delle risorse comuni.

Quando le comunità tribali mobilitano le eccedenze (di solito in guerra o nel commercio), queste tendono a concentrarsi nella casa del capo, per essere utilizzate, almeno in apparenza, per conto della comunità in generale. E come parte del suo ruolo di "volto" della comunità nelle sue relazioni commerciali o militari con l'esterno, questo "nucleo familiare" dominante tende ad assorbire fuggitivi, esuli o altri individui isolati.
L'etica delle mutuo soccorso richiede ai capi, a loro volta, di agire in modo imparziale e aperto.

La casa del capo e delle famiglie più eminenti, nel tempo, possono quindi diventare sede permanente di attività specializzate, nelle quali viene investito il surplus della comunità. Avendo sempre l'accortezza di dare loro un carattere pubblico.

Qualche surplus normalmente è necessario per una produzione non-agricola specializzata.
In tali casi, le principali famiglie o il capo possono amministrare un culto santificato, in una sua sede distinta, incaricato di produzioni a capitale intensivo come la metallurgia.
Tali occupazioni spesso comportano una particolare classe di lavoratori, che debbono essere riforniti di materie prime, e con cibo procurato o da proprie terre di auto-sostentamento o dalla casa del capo o da terreni appartenenti al gruppo specializzato e dati in affitto. Tali gruppi tendono ad istituzionalizzare se stessi sul modello delle famiglie, ma per avere un'identità essenzialmente pubblica.

Nell'antica Mesopotamia queste famiglie di produttori cominciarono ad organizzarsi economicamente, con lo scopo di ottenere un surplus commerciale, all'interno dei templi. Questi, che costituirono la fucina delle prime pratiche economiche, grazie alla loro natura pubblica rispettavano l'etica arcaica dell'utilizzo comunitario del surplus.

Lo scambio "economico" a scopo di lucro costituiva un salto così grande che inizialmente sembra essere stato condotto prevalentemente in collaborazione con le istituzioni pubbliche, almeno nominalmente. Le prime "famiglie" documentate ad essere gestite economicamente erano quelle dei templi della Mesopotamia. Lamberg-Karlovsky (1996:80) ha tracciato la loro evoluzione da ciò che era iniziata come la casa del capo, dal sesto al terzo millennio, seguita da palazzi che emersero dai recinti del tempio nel 2750 aC circa.
Queste grandi famiglie istituzionali svilupparono un'identità comunitaria, tanto più che assorbirono lavoro dipendente come quello delle vedove e degli orfani di guerra, di non vedenti o disabili prelevati dal loro ambiente familiare, e anche degli schiavi catturati in raid.
E' in essi che la prima produzione di massa standardizzata è stata organizzata per fornire un surplus commerciale.

Le città tempio prime sedi d'impresa

Nelle ipotesi di Hudson la geografia della regione mesopotamica e la natura del suolo ebbero un ruolo determinante nel suo decollo produttivo.

La Mesopotamia meridionale era in una posizione bisognosa di risorse. La sua terra consisteva di un ricco terreno alluvionale depositato dai fiumi nel corso dei millenni, ma mancava di rame, stagno, lapis e altre pietre, e anche di legname duro. La regione necessitava di ottenere questi materiali da siti lontani che andavano dal plateau iraniano al centro dell'Anatolia. Alla metà del IV millennio aC i Sumeri crearono avamposti fortificati fino all'Eufrate a nord, ma gli archeologi hanno scoperto che questi dovettero essere abbandonati dopo circa un secolo. La conquista militare era probabilmente un mezzo troppo costoso per ottenere materie prime distanti e trasportarle nel cuore economico della Mesopotamia meridionale.

Le città sumere combatterono tra di loro nel quarto, terzo e anche secondo millennio aC, ma l'acquisizione in grande quantità di materiali stranieri su lunghe distanze doveva essere organizzata su base reciproca e volontaria con l'Anatolia e l'altopiano iraniano, mentre il commercio con la Valle dell'Indo si svolse prevalentemente sull'isola di Dilmun. Il commercio pacifico stimolò l'impresa produttiva, richiedendo alla Mesopotamia meridionale - Sumer - di produrre esportazioni da offrire. A causa delle ingenti somme in gioco, templi e palazzi delle città svolsero il ruolo dominante di produttori e di fornitori di beni. Navi e caravan via terra furono riforniti di tessuti e altri prodotti per lo scambio con le materie prime di cui il nucleo sumero era privo.

Questa ricostruzione degli eventi riveste un certo interesse alla luce delle affermazioni sul diverso atteggiamento del mondo mesopotamico, rispetto a quello greco-romano, nei confronti del perseguimento della ricchezza.
Pare, dalle informazioni qui riportate, che i Sumeri tentarono una via militare per procurarsi le risorse di cui necessitavano, ma la distanza proibitiva fece fallire l'operazione. I Sumeri quindi avrebbero dovuto fare di necessità virtù, dedicandosi alla produzione e al commercio pacifico non potendo perseguire una politica predatoria.
Se consideriamo quanta importanza ebbe per i romani la costruzione e la manutenzione delle strade e quanta per i greci il dominio delle vie d'acqua è legittimo sospettare che la "diversità" di atteggiamento economico dei Mesopotamici rispetto ai greco-romani ebbe origine alquanto prosaicamente nella diversa geografia dei rispettivi territori.
Hudson comunque non affronta questo tipo di speculazione che daltronde è ininfluente nei confronti della sua tesi sul successo mesopotamico nel favorire imprese e prosperità.

Negli anni recenti, gli assiriologi hanno ricostruito come questo sistema funzionasse, utilizzando come prove iscrizioni regali e gli archivi dei funzionari di palazzo e dei mercanti imprenditori. I conquistatori imperiali di epoche succesive imposero il pagamento di tributi e tasse sulle popolazioni sconfitte, ma palazzi e città-tempio non riscossero tasse in quanto tali. Piuttosto, essi sostennero se stessi con loro proprie officine, grandi branchi di animali e mezzi di trasporto, e affittando campi e laboratori, come più tardi fece Atene con le sue miniere d'argento di Laurion. La loro forza lavoro dipendente produceva tessuti destinati all'esportazione, e la birra per la vendita interna.

L'assenza di documenti di vendita sia di esportazioni sia locali, suggerisce che i templi e i palazzi anticipavano questi prodotti ai commercianti per il pagamento in seguito al ritorno da un viaggio, dopo un periodo di cinque anni, o al momento del raccolto per le vendite interne con pagamento in natura. Nelle prime fasi del commercio a lunga distanza ai commercianti furono date dai templi razioni o "stipendi" e asini per il trasporto, un segno sicuro del loro ruolo pubblico (Frankfort 1951:67). Nel tempo questi mercanti accumularono capitale proprio, che usarono insieme a quello di finanziatori privati ​​(in genere i loro parenti).

Dai documenti l'economia delle città-tempio si caratterizza come economia mista, nè statalista nè eminentemente privata.

La maggior parte dei loro archivi sono stati rinvenuti in scavi nei recinti dei templi o dei palazzi, indicando che non vi era alcuna idea di conflitto di interessi in relazione alla loro posizione nella burocrazia del tempio o del palazzo, che sembrano essere rimasti principalmente nelle mani delle famiglie più importanti. I loro archivi personali di affari si trovano insieme a registrazioni amministrative pubbliche. È evidente che il modo per diventare un imprenditore era di relazionarsi con queste grandi istituzioni. Questo è ciò che ha reso le economie della Mesopotamia "miste" e non stataliste (come lo "stato tempio" postulato nel 1920) o strettamente private, come assunto dalla vecchia generazione di economisti modernisti.

Per fare affari era comunque necessario avere buone relazioni con il potere pubblico.

Le istituzioni pubbliche stabilirono relazioni con individui ben collocati, il cui titolo - sumero damgar, babilonese tamkarum - di solito è tradotto come "mercante" o, in epoca babilonese, "imprenditore". Applicando la definizione del ruolo dell'imprenditore di Israel Kirzner (1979:39), Johannes Renger (2000:155) sottolinea che si tratta di un termine francese del XVII secolo, che denota "una persona che è entrata in un rapporto contrattuale con il governo per la prestazione di un servizio o la fornitura di beni. Il prezzo al quale il contratto era valutato era fisso e gli imprenditori si assumevano i rischi dei profitti e delle perdite dell'affare." Un imprenditore cerca un guadagno economico sia con i propri soldi o, più spesso, operando con fondi presi in prestito da altri (compresi gli enti pubblici) per ricavare un profitto per se stesso, tagliando le spese o creando una innovazione.

Il palazzo regio era anch'esso sede di attività produttive a scopo commerciale, nelle quali reinvestiva gli utili realizzati.

In Babilonia, il palazzo affittava terreni e laboratori con affitti stipulati e anticipava tessuti e altri prodotti di artigianato ai mercanti impegnati nel commercio a lunga distanza. Nel processo di sviluppo di questa impresa, gli amministratori e gli imprenditori crearono gli elementi manageriali per la produzione su larga scala e lo scambio di mercato, per aumentare il surplus economico prodotto e reinvestirlo per ottenere ulteriori guadagni.

Nella parte successiva approfondiremo l'analisi di Hudson sul ruolo che nel Vicino Orientie antico il settore pubblico ebbe nel creare condizioni favorevoli all'impresa e nel limitare gli effetti distorsivi dell'accumulo della ricchezza e dei debiti. I risultati delle ricerce mettono in discussione idee da tempo radicate nel pensiero economico.

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