giovedì 9 agosto 2012

Capitalismo finanziario e industriale - Parte 3

Questo post in più parti è una elaborazione molto libera di questo articolo di Michael Hudson From Marx to Goldman Sachs: The Fictions of Fictitious Capital a cui attinge(copia) numerosi contenuti.
La posizione di M. Hudson rappresenta una critica molto radicale del capitalismo finanziario internazionale egemonizzato dalle oligarchie finanziarie statunitensi e britanniche. Le sue analisi riguardano prevalentemente l'economia statunitense e molte considerazioni richiederebbero un adattamento al contesto europeo e italiano.


Puntate precedenti:
Parte 1 - Introduzione
Parte 2 - La discussione su quale ruolo produttivo e industriale avrebbe giocato l'alta finanza

La simbiosi del capitale finanziario con il settore immobiliare

Karl Marx si aspettava che il capitale industriale avrebbe usato il suo potere crescente sui governi per nazionalizzare la terra e usare la sua rendita come gettito fiscale di base. Ma sono state le banche che hanno ottenuto la parte del leone della rendita fondiaria, capitalizzandola in prestiti fruttiferi a nuovi acquirenti di immobili.

Le aristocrazie terriere non dominano più il sistema politico, ma il favoritismo fiscale per il settore immobiliare non è mai stato tanto forte come oggi, proprio perché la proprietà è stata democratizzata - ma a credito. L'immobiliare pesa per circa il 70 per cento dei prestiti bancari in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, il che lo rende di gran lunga il principale mercato per i prestiti bancari, non l'industria e il commercio come si prevedeva un secolo fa. Questo spiega perché il settore finanziario appoggia ora gli interessi immobiliari come loro principale lobbista per ottenere esenzioni fiscali sulla proprietà. Gli interessi ipotecari assorbono ormai gran parte del valore di rendita dei terreni, che viene capitalizzato in debito piuttosto che servire come base imponibile fiscale.

Gli elettori sono arrivati ​​a credere che il loro interesse risieda nel ridurre le tasse sulla proprietà, non aumentarle. Le case sono la carta vincente per la maggior parte delle famiglie, e l'immobiliare rimane la più grande risorsa dell'economia. La terra è ancora la sua componente più grande - e quasi l'80 per cento delle "plusvalenze" dell'economia degli Stati Uniti sono costituite da guadagni sul prezzo della terra. I valori dei siti aumentano grazie agli investimenti pubblici in infrastrutture stradali, acqua e fognature, hub di trasporto, sistemi scolastici, restrizioni di zonizzazione e grazie alla crescita del livello generale di prosperità.

Sei variabili sono al lavoro:
  1. Tassi di interesse bassi per capitalizzare le rendite dei terreni in prestiti ipotecari.
  2. Bassi pagamenti iniziali richiesti dalle banche per concedere un mutuo.
  3. Tassi di ammortamento lenti (che danno ai mutuatari molto tempo per pagare il mutuo).
  4. Condizioni di credito "facili", cioè norme flessibili per "prestiti bugiardi" e affini. Il credito può essere più ampio e fare salire così i prezzi degli immobili. Nel frattempo, le banche riciclano il loro margine di interesse in nuovi prestiti - e anche in contributi alle campagne elettorali dei politici che si impegnano a:
  5. tasse di proprietà più basse, lasciando più reddito da pagare alle banche come interesse.
  6. La leva del debito gonfia i prezzi degli immobili, creando la speranza di ottenere plusvalenze, spingendo gli acquirenti a prendere a debito ancora di più nella scommessa speculativa che l'aumento dei prezzi delle proprietà sarà più che sufficiente a coprire gli interessi aggiunti, che si spera saranno pagati dalle plusvalenze, non dal reddito guadagnato con il lavoro.
Gli anni recenti rappresentano il primo caso nella storia in cui i proprietari di abitazioni e, di fatto intere economie, hanno immaginato che il modo per arricchire fosse quello di indebitarsi sempre di più, non di ripagare i debiti. La proprietà della casa è il criterio che definisce l'appartenenza alla classe media. Circa due terzi delle popolazioni britanniche e statunitensi sono ora in possesso di proprie case, e più del 90 per cento in Scandinavia. Questa diffusione della proprietà ha permesso agli interessi possidenti e finanziari di mobilitare l'opposizione popolare alle imposte sugli immobili commerciali e da locazione, nonché sulle abitazioni.

Le azioni del governo per mettere un freno agli interessi della rendita sono dipinte come "la strada per la servitù". Eppure detassare proprietà e finanza obbliga i governi a fare fronte ai minori introiti fiscali aumentando le tasse che ricadono sui consumatori e i settori di attività non finanziari e non immobiliari. Questo contrae l'economia, riducendo la sua capacità di reddito, necessaria per ripagare i banchieri dei loro prestiti ipotecari.

Un profilo di reddito per il tipico salariato degli Stati Uniti mostra in che misura il costo della vita ora riflette i costi del settore finanziario e immobiliare più che i prezzi delle merci prodotte dal lavoro. Circa il 40 per cento del reddito salariale degli operai degli Stati Uniti in media viene speso per l'edilizia abitativa (mutui). (Recenti tentativi da parte della Federal Deposit Insurance Corp. per ridurre la percentuale assorbita dai mutui al 32 per cento hanno suscitato una forte opposizione delle banche). Un altro 15 per cento circa è destinato a pagare altri debiti: prestiti agli studenti per ottenere la formazione necessaria per una occupazione da classe media, prestiti auto per andare al lavoro (conseguenza anche della dispersione urbana promossa dagli incentivi fiscali a favore degli "sviluppatori" immobiliari), il debito della carta di credito, prestiti personali per spese al dettaglio. Le trattenute sullo stipendio per Social Security e Medicare (un eufemismo per lo spostamento del carico fiscale dalle fasce di reddito più elevate ai lavoratori) assorbe l'11 per cento del costo del personale per le aziende, e le imposte sul reddito e sulle vendite a carico del lavoro aggiungono un altro 10 o 15 per cento.
Questo lascia solo un terzo del reddito salariale a disposizione per spese in cibo, vestiario, trasporti, assistenza sanitaria e altre necessità di base.

Non è cosi che le cose avrebbero dovuto svolgersi secondo i riformisti dell'epoca progressista del capitalismo industriale. La lotta per ridurre al minimo l'assorbimento di ricchezza da parte del redditiero, nella forma della rendita economica della terra, dei monopoli commerciali, bancari e privilegi affini ha fallito. Ha fallito, soprattutto a causa della simbiosi tra il settore finanziario e i cercatori di rendita che sono diventati i suoi principali clienti, poiché l'accesso al credito bancario è stato democratizzato. La ricerca di una posizione di rendita è diventata, a tutti i livelli della società, la preoccupazione principale di chi vuole migliorare la propria posizione economica. Ciò che distingue i cercatori è il fatto che i grossi interessi finanziari hanno i fucili mentre la massa della popolazione se va bene ha arco e frecce, ma tutti sono in competizione tra loro, sul “libero mercato” non regolato.

Al più ampio livello sociale, il vistoso sforzo di lobby per il "libero mercato" promosso dall'azione delle banche per spostare le tasse di proprietà sul lavoro e l'industria è diventata una campagna contro il governo stesso. L'obiettivo è quello di spostare la pianificazione - insieme con le imprese pubbliche e le loro entrate - dalle mani degli enti pubblici a quelle di Wall Street negli Stati Uniti, della City a Londra e degli altri centri finanziari nel mondo.

Il problema è che l’orizzonte temporale dei promotori finanziari è più corto di quello del governo ed essendo a breve termine, è estrattivo tramite redistribuzione, non produttivo.

Puntata successiva: Parte 4 - Le scorrerie del capitale finanziario sull'industria

Questo post in più parti è una elaborazione molto libera di questo articolo di Michael Hudson From Marx to Goldman Sachs: The Fictions of Fictitious Capital a cui attinge(copia) numerosi contenuti.

Nessun commento:

Posta un commento