mercoledì 8 agosto 2012

Coraggio e ingegno

Da sempre il problema principale dell’uomo è il dovere lottare tra mille avversità contro il proprio destino mortale. Agli inizi ha trovato nei riti religiosi un aiuto per il proprio coraggio. L’elaborazione di un ideale aristocratico ha fatto poi ricadere sull’individuo meritevole il dovere e l’onore di alimentare e diffondere il coraggio.

Lo sviluppo delle conoscenze e della tecnica ha messo in crisi le prerogative esclusive del coraggio nell’aiutare l’uomo nella sua lotta. E’ sorta la prospettiva che la durezza del destino potesse essere mitigata con il progresso. L’ingegno si è affiancato al coraggio, non senza la pretesa di sostituirlo. L’uomo ha cominciato a cedere parte della propria sovranità sull’umano a tecniche e costruzioni organizzative sempre più complesse, in cambio di sicurezza e benessere.

La messa in discussione del coraggio e dell’ideale aristocratico ha provocato crisi di coscienza e reazioni:
  • La dolorosa riflessione sui limiti della vita ha perso il proprio pudore ed è diventata argomento di cultura (Shopenhauer e Leopardi).
  • Il valore della paura è stato rivalutato (Kierkegaard).
  • Il valore del coraggio è stato assolutizzato come volontà di potenza (Nietzsche).

Grazie alla cultura classica l’ideale aristocratico aveva coniugato fede e coraggio (altare e spada) con la razionalità, tagliato il nodo gordiano dell’antinomia tra razionale e irrazionale.
Ma la spada è diventata una bomba all'idrogeno e ora un occhio più consapevole, educato dalla scienza, vede una separazione netta tra irrazionalismo e razionalismo, che si contendono il cuore degli uomini.
Il fardello di conciliare l’inconciliabile adesso ricade sull’individuo con nuove antinomie: fede o scienza, tradizione o cambiamento, patria o internazionalismo, lotta (violenta) o dialogo (estenuante e sterile), autocrazia o democrazia.
La società laica quando può lo assiste, burocraticamente e professionalmente, a cuore freddo.

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