mercoledì 25 novembre 2020

Gli Dei e gli eroi vanno e vengono

by Stefano

Domani si rientra in Italia. Di fronte alla terrazza del ristorante di Pinamar, un mare placido, in una sera senza vento, sembra fare del suo meglio per indurre il desiderio di un ritorno. Difficilmente accadrà, almeno per Armando.

Quel viaggio nell’altro emisfero gli era sembrato improbabile già alla discesa dall’aereo. Per gli amici che aveva trascinato in quell’avventura sarebbe andato tutto bene, non ne aveva mai dubitato. L’escursione al ghiacciaio, le spiagge assolate, i casinò, il buon cibo. Ma la sua non era una vacanza. Era qui per uno di quei tumulti che si scatenano nell’animo quando si perde un genitore. Suo padre era mancato all’improvviso due anni prima. Ormai il dolore più acuto era passato, ma della cascata di ricordi che allora inondarono la mente uno era rimasto che non voleva ritirarsi nel suo letto. Era il racconto preferito del padre che Armando bambino sempre chiedeva di riascoltare. Una baracca di giovani emigranti alla periferia di Buenos Aires, spinti sin qui, dopo la guerra, dall’offerta di un lavoro sicuro; pochi spiccioli da mandare a casa alla madre, in attesa che le cose in Italia si sistemino e potere tornare. Alcuni magari speravano di fare fortuna lì in Argentina, ma il padre di Armando no, lui sin da subito pensava a tornare, così gli aveva sempre detto e dopo due anni aveva fatto.

Era in una acciaieria il lavoro. Il padre di Armando, cresciuto ragazzo di strada, ciarliero e insofferente ai luoghi chiusi si era offerto per il turno di spostamento delle barre incandescenti in uscita dall’altoforno. Il compito da ripetere era vario. Cinque minuti di sforzo a temperature impossibili, sempre il rischio di un errore fatale, e poi 20 minuti sdraiati all’aperto, esausti, a riprendere le forze guardando il cielo, fumando una sigaretta e chiacchierando con i compagni.

Ma cosa cercava Armando 50 anni dopo? Dell’acciaieria, ammesso esistesse ancora, non sapeva nemmeno il nome; e se esisteva certo non si lavorava più a quel modo. Dei posti poco e nulla poteva essere rimasto; gli bastava forse il cielo? sdraiarsi in un prato alla periferia di Buenos Aires e guardare il cielo? cosa credeva che avrebbe visto?

Del suo peregrinare per i sobborghi della metropoli naturalmente non ne aveva tratto nulla. Il fatto era che non lo spingeva la curiosità; in realtà non cercava; così nulla aveva trovato. Si aspettava solo che il ricordo si sarebbe fatto meno invadente. Che stesse tranquillo, mai avrebbe dimenticato.

Il giorno prima del ritorno Armando si era ritrovato con gli amici ed ora cenavano insieme vicino al mare. Armando aveva poco da raccontare e nessuna voglia di farlo e presto la conversazione era finita sul calcio.

Anche il padre di Armando era stato tifoso ma solo delle nazionali, Italia e Argentina naturalmente. Allo stadio però non andava. C’era stato un paio di volte, proprio a Buenos Aires, ma diceva che gli veniva male al cuore quando la sua squadra stava sul punto di fare un gol o di prenderlo; il che in una partita può capitare spesso; “l’essere sul punto di” è soggettivo e dipende dalla sensibilità. Perciò aveva rinunciato allo stadio, ma alla televisione le partite le guardava.

Le discussioni sul calcio tra amici sembrano sempre un gioco di biglie di ferro tra calamite. Si finisce sempre attratti da qualche argomento solito su cui tutti credono di avere qualcosa di nuovo da dire. Maradona in questo è inesauribile e trovandosi gli amici a Buenos Aires perfino doveroso. Fu così che ad un certo momento il suo amico Giuliano parlò della famosa partita tra Inghilterra ed Argentina dei mondiali 1986, quella dove Maradona segna con la mano un gol decisivo.

L’abulia nella quale Armando era immerso, all’improvviso viene travolta da un ricordo vivissimo. Quella partita l’aveva seguita con il padre, tifando Argentina, e rimaneva per lui un momento irreale ed esaltante su cui spesso aveva riflettuto. Ora con la mente resa sensibile da quei giorni di meditazione e vano pellegrinaggio, quelle riflessioni prendevano il corpo di una intuizione veemente, che non poteva fare a meno di esternare immediatamente agli amici.

«Quella partita», esclamò improvvisamente Armando, «è un evento storico che tutti gli uomini di cultura dovrebbero studiare. Più di un miliardo di persone in tutto il mondo ha potuto vedere, nel medesimo istante, in diretta televisiva, come nasce un eroe e come gli dei possono intervenire nelle vicende umane, modificando la realtà a loro piacimento. Noi oggi, grazie a Maradona, possiamo capire cosa provarono quegli antichi che per primi iniziarono ad adorare e a temere gli dei e gli eroi».

Ad un primo stupore per l’impeto delle parole di Armando erano seguite ilarità e preoccupazione. Da qualche tempo ad Armando capitava di cadere nei suoi pensieri e di faticare a rialzarsi.

«Allora nei Quartieri spagnoli di Napoli ogni giorno nasce un eroe!», intervenne Sandro, «Ma dai Armando! Un furto con destrezza per te sarebbe un gesto eroico?».

«Ma allora voi non capite cosa sia, quello che voi chiamate “furto con destrezza”, quando è tutto il mondo che guarda e non un ignaro turista. È la realtà intera che viene cambiata, fatta sparire e sostituita con un’altra! Non è un telefonino che nel pacco diventa un sasso, è la realtà! la realtà tutta! che pouff! non vale più, diventa un’altra! E in che modo! in che contesto! ma non ricordate?». E qui Armando fece una di quelle pause che, ad azzeccare i tempi, tutti ammutolivano.

«Seguitemi! È la primavera del 1982, gli argentini hanno occupato le isole Falkland, che erano inglesi; la Thatcher manda una portaerei; è guerra vera, per tre mesi; muoiono 260 inglesi e 650 argentini! una tragedia! Ancora oggi in Argentina si innalzano monumenti ai caduti delle Malvinas, come chiamano qui quelle isole». Nuova pausa, breve, vedi mai che qualcuno rompa il silenzio.

«E nell’86, solo quattro anni dopo, ecco che nei quarti di finale di un campionato del mondo Inghilterra e Argentina si trovano una contro l’altra. Tutti i giornali non parlano d’altro. Quella sera in campo c’era una elettricità nell’aria che tagliava le gambe; lo si capiva anche alla tv. Io ricordo quei momenti. Mio padre diceva che dovevano impedirla quella partita».

«Bene Armando!», riuscì ad inserirsi Louis, l’amico spagnolo, «Il resto lo conosciamo; il gol rubato; “la mano di Dio”; gli inglesi furibondi ma ammutoliti; e dopo appena tre minuti Maradona, invece di essere punito per la sua protervia, segna il gol più straordinario della storia del calcio; poi vince pure il mondiale! Ma non sarà la prima né l’ultima volta che l’arroganza vince!».

«Ma quale protervia e quale arroganza Louis? Maradona fu l’umiltà in persona. Come avrebbe potuto sopportare tanta tensione se solo avesse alzato anche un poco il capo irriverente. Ubbidì al volere di una forza che sottomise tutti: Maradona, arbitro, avversari, commentatori, spettatori nel mondo intero!». Armando fece un respiro, «Tutti, tutti pensarono che era giusto così, anche mio padre! Fu il volere degli dei! Loro decisero cosa doveva essere reale e solo Maradona ebbe il coraggio di dirlo: parlò della mano di Dio appunto».

A quel punto Cisio, il gigante buono della compagnia, che non avrebbe voluto commentare, temendo di spingere Armando a dire spropositi, non potè fare a meno di ricordare ad alta voce: «Ma lo avete visto l’altro ieri il video di Maradona, grasso e mezzo ubriaco, che ride inebetito alla videocamera; e dovrei credere che quello è un eroe?».

Armando non accusò il colpo. Aveva ormai elaborato la sua intuizione; la cosa poteva essere spiegata; e lo sproposito uscì: «Cisio, sono gli dei che fanno gli eroi ed è loro la responsabilità di consacrarli. Ricordate quando Maradona arrestato per droga nel 91 lanciò quell’urlo disperato: “Ve quiero de morir”, “Vi chiedo di morire”?», un lungo respiro prima di concludere, «Che colpa può avere Maradona se gli “Dei sono fuggiti”, come dice il poeta Hölderlin, e nessuno era pronto ad ascoltarlo?». «Olderlin chi?» pensò, ma non ebbe il coraggio di dire, Cisio.

Il silenzio più che preoccupato degli amici fu rotto da Aristide, di solito il più pronto a  difenderlo: «Stai parlando di chi è caro agli dei Armando? Stai accusando gli dei di non avere chiamato a sé Maradona finché era giovane? Non credi di avere passato il segno?»

Questa volta Armando accusa il colpo. Ebbene sì, la sua intuizione richiedeva ancora un pò di riflessione. Era stanco e borbottò alcune parole di scusa. No! Non era sua intenzione dire proprio quello di cui Aristide lo accusava.

La partenza dell’aereo il giorno dopo era per le dieci del mattino. Alle otto dovevano essere in aeroporto. Meglio ritirarsi tutti in albergo.

Il mattino seguente Armando non era dell’umore migliore. Non riusciva ad accettare che quel viaggio fosse una delusione completa. Un significato doveva pure avere.

In aeroporto li accoglie una gran confusione; nella notte computer in tilt; i primi voli non sono riusciti a fare il check in; insomma 100 minuti di ritardo. Per i passeggeri del volo per l’Italia, se desiderano, c’è una saletta per aspettare seduti. Gli amici si sistemano alla meglio; «Attenti ai bagagli!»; ancora il check in non si può fare.

Ad un certo momento Louis si alza e scatta sulla sinistra dirigendosi verso un gruppo in fondo alla saletta, come se avesse scorto un conoscente, parla animatamente con qualcuno e poi ritorna rivolgendosi agli amici: «Ehi ragazzi, indovinate chi vola in Italia con noi? L’eroe dei due mondi!». Armando prima ancora di capire a cosa allude Louis già è piccato dal suo tono. «Sembra che Joaquim», continua Louis, «un mio vecchio amico, sia nel suo entourage ora; consulenza legale. Gli ho parlato di te, Armando; all’eroe farebbe piacere conoscerti». Armando, confuso, prima pensa ad uno scherzo, ma a questa maniera non è cosa da Louis. Poi per quanto incuriosito non ha nessuna intenzione di dare spettacolo per intrattenere Maradona o chicchessia e quelli della sua cerchia. «Il nostro eroe», insiste Louis, «è molto incuriosito dalla tua teoria, Armando, che gli dei, come maghi incantatori, hanno cambiato la realtà in quella partita; anche lui ne è convinto».

Ora si sarà probabilmente capito che per Louis e per Armando le parole non sempre avevano lo stesso significato. Louis non era né cattivo né maligno, era fantasioso e quasi sempre allegro. Per lui le parole appartengono ad un mondo che non è proprio reale, non possono fare veramente male; a volte sono utili a volte danno un pò di fastidio, ma poi scivolano via; e in fondo servono a rendere la vita più piacevole e interessante. Per Armando era diverso; a lui sembrava che il mondo vero fosse quello creato dalle parole e a lui, sentire che Maradona aveva parlato di “maghi incantatori” gli aveva aperto un fiume nella mente. Lui a  Don Chisciotte non aveva pensato. Se proprio il suo eroe ci teneva ad ascoltarlo gli avrebbe parlato volentieri.

Naturalmente questo intervento della mitologia di Cervantes nella faccenda era solo il frutto dei ricordi scolastici di Louis e se c’era qualcuno a cui poteva importare quell’incontro, per divertirsi un pò, erano Louis e Joaquim. Maradona impegnato ad armeggiare con un sigaro non sembrava particolarmente interessato.

Sollecitato da Louis, Armando cominciò ad esporre la sua teoria che la sera precedente aveva turbato gli amici. Joaquim che per intendersi con Louis non aveva bisogno di lunghe pretattiche rispondeva ad Armando come se fosse l’interprete di Maradona. Il quale, ovviamente, se solo fosse stato attento non aveva nessun bisogno della traduzione dall’italiano allo spagnolo, che Joaquim comunque si guardava dal fare, ma, rispondendo come a lui pareva più opportuno per rendere più divertente la situazione, sembrava ad Armando, un pò emozionato, come se Joaquim riferisse la risposta di Maradona. È forse superfluo riferire che di frequente Joaquim prendeva tutti in contropiede con le sue osservazioni e lo stesso Armando veniva serrato e costretto sulla difensiva per non soccombere.

E venne il momento temuto da Armando, che nella notte, stanco e un po agitato, non aveva avuto il tempo di elaborare la parte più controversa della sua intuizione. Doveva o no di fronte a Maradona in persona, vivo, ribadire quella tremenda accusa agli dei? Sempre incalzato da Joaquim che ora premeva, svariando, come una spina sul fianco, si decise a tentare il tutto per tutto. Quale momento migliore per chiarire definitivamente le idee?

Quando raggiunse il climax del suo intervento decise di pronunciare in spagnolo -  il suo, da autodidatta - la frase che i giornali di allora avevano riferito di Maradona in carcere. Nel farlo guardava Joaquim, che era attentissimo, ma si provava anche ad incrociare lo sguardo di Maradona, che invece non riusciva mai a catturare. Armando era agitatissimo; le gambe quasi gli tremavano; non capiva se il suo era coraggio o follia; credette di pronunciare «Ve quiero de morir», ma nessuno capì. Vide Maradona che di scatto si voltava verso di lui. Gli occhi gli parvero di fuoco, infuriati. Sentì d’improvviso di avere suscitato la collera terribile di un semidio, di averlo offeso. Si sentì sprofondare. Le gambe gelide e inconsistenti. Cadde privo di sensi.

Ora il fatto è che nemmeno Maradona aveva capito cosa Armando avesse tentato di dire, ma quelle parole, che parevano pronunciate nella sua lingua, lo avevano sollecitato e si era voltato di scatto, distogliendosi dal suo sigaro, come per chiedere: «Che ha detto?».

Nel primo momento di sconcerto per l’incidente, Maradona, sebbene un po infastidito, reagendo d’istinto, aveva assunto un’espressione compassionevole, ma vedendo che Armando, sostenuto dai suoi amici, presto rinveniva, finalmente, si accese il suo cubano.

Nessun commento:

Posta un commento